European Economic
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Sandra Parthie: COP27 – contrattazioni e mercanteggiamenti invece di azioni
Quest'anno la COP27, l'importante Conferenza annuale delle Nazioni Unite per i negoziati sul clima, si è tenuta in Egitto. L'edizione 2022 ha battuto diversi record, non da ultimo quello del numero di partecipanti - quasi 35 000 intervenuti in presenza -, segnando così il ritorno alla normalità dopo due anni di pandemia di COVID-19 e di restrizioni delle riunioni pubbliche.
La Conferenza, inizialmente convocata per decidere proposte e soluzioni su come affrontare i cambiamenti climatici e trovare dei modi per la mitigazione del fenomeno e il relativo adattamento, oggi è diventata più una tribuna dalla quale sottolineare l'impatto che i cambiamenti climatici stanno avendo su tutti noi, poco importa da dove veniamo e come ci guadagniamo da vivere. Sulla COP27 sono state riposte aspettative eccessive ed è stato adottato un programma con troppa carne al fuoco. Oltre agli sforzi per ridurre le emissioni di CO2, tra i punti di discussione dei negoziati figuravano numerose questioni di politica che andavano dalla salute al genere e ai diritti umani. Per la prima volta anche l'agricoltura è stata iscritta all'ordine del giorno. Se questo da un lato dimostra che il degrado dei suoli e delle foreste sta avendo effetti allarmanti sui nostri sistemi alimentari e sui mezzi di sussistenza degli agricoltori, dall'altro aggiunge un'ulteriore dimensione a un problema che è già estremamente complesso.
Le conclusioni, a cui si è giunti dopo che la COP27 ha proseguito i lavori per ben due giorni oltre il termine previsto, offrono più risultati in materia di giustizia climatica e meno sull'azione per il clima. Ha sorpreso positivamente l'accordo raggiunto su un "fondo per le perdite e i danni", ossia sull'erogazione di aiuti finanziari per compensare i danni e il degrado ambientali dovuti ai cambiamenti climatici che i paesi in via di sviluppo più vulnerabili hanno già subito, o che subiscono attualmente. La questione è rimasta in sospeso dietro le quinte della conferenza sul clima per quasi un decennio prima di essere inserita tra i punti da affrontare alla COP 2022.
Meno passi avanti, o per essere più precisi nessun passo avanti è stato fatto invece per quanto riguarda un'azione più forte per il clima, ossia maggiori sforzi e impegni da parte dei paesi per la riduzione delle loro emissioni di CO2. Un tentativo dei negoziatori della Commissione europea di collegare il loro sostegno al fondo per le perdite e i danni a una serie di concessioni dei paesi grandi inquinatori, in particolare la Cina, a ridurre in misura significativa le loro emissioni, è andato a vuoto. Si è anzi corso fortemente il rischio che alcuni paesi segnassero un arretramento rispetto agli obiettivi di riduzione già fissati dall'accordo di Parigi del 2015 e in occasione della COP26 di Glasgow dello scorso anno.
La "COP di attuazione", come era stata definita la Conferenza di Sharm el-Sheikh, ha rischiato in realtà di vanificare molti dei progressi compiuti in precedenza, minacciando sostanzialmente di smantellare l'obiettivo già concordato di limitare l'aumento del riscaldamento globale a 1,5° C. I paesi partecipanti hanno discettato a lungo su quale sia lo status della Cina (è davvero ancora un paese in via di sviluppo?), e contrattato se realizzare una graduale eliminazione o graduale riduzione di tutti i combustibili fossili o solo del carbone, sulle condizioni legate ai fondi e alle tecnologie, e su altro ancora.
Una simile dinamica suscita molti dubbi e interrogativi sul fatto che il formato della COP sia ancora adatto allo scopo. L'obiettivo principale - la conclusione di un accordo globale sulla necessità di ridurre le emissioni di CO2 - è stato raggiunto alla COP21 di Parigi. Come attuarlo, ossia quali metodi utilizzare per contabilizzare le emissioni o per monitorarne la riduzione, o quali soggetti dovrebbero essere responsabili di tali meccanismi e dove dovrebbero avere la loro sede, sono questioni molto tecniche che forse non dovrebbero essere oggetto di negoziati tra i ministri di quasi 200 paesi, soprattutto se a ogni COP si riparte sempre da zero su qualsiasi argomento che non vada a genio ad alcune delle parti. L'attuazione dell'obiettivo principale dovrebbe invece essere affrontata a livello tecnico-operativo, non in una conferenza annuale dei capi di Stato e di governo ma in una riunione delle parti organizzata a intervalli più lunghi, ogniqualvolta cioè siano necessari nuovi accordi per realizzare ulteriori progressi.
In conclusione, la COP27 in Egitto non è stata all'altezza delle aspettative in termini di azioni per il clima più concrete o ambiziose, anche se qualche passo avanti è stato fatto in materia di giustizia climatica. È però sicuramente riuscita ad essere una piattaforma per riunire attivisti climatici, ambientali e per i diritti umani, per dimostrare che cosa sia l'azione per il clima, o la sua assenza, e per continuare a fare opera di sensibilizzazione sui pericoli reali e attuali dei cambiamenti climatici.