Vivere in modo indipendente nella comunità - per le persone con disabilità resta ancora molta strada da fare

Per porre fine alla segregazione delle persone con disabilità e consentire loro di vivere una vita piena e indipendente nella comunità sono necessari una volontà politica, ingenti investimenti nei servizi sociali e di prossimità e un enorme sostegno alle loro famiglie che - dimenticate dalle politiche pubbliche - portano un peso troppo grande sulle spalle.

La nuova strategia europea sulla disabilità 2021-2030 pone fortemente l'accento sull'importanza di garantire una vita indipendente agli oltre tre milioni di europei con disabilità che vivono attualmente in contesti istituzionali. Tuttavia, la transizione verso la nuova vita nella comunità non sarà possibile senza adeguati servizi di prossimità accessibili e a prezzi abbordabili, che oggi scarseggiano nell'UE.

Le famiglie svolgono un ruolo cruciale nella deistituzionalizzazione, ma vengono spesso lasciate sole a supplire alle carenze del sostegno pubblico. Di fronte all'assenza di alternative, i familiari sono costretti a collocare i familiari in strutture residenziali oppure ad assumere il ruolo di prestatori di assistenza, il che incide pesantemente sulla loro salute e sulle loro finanze, ha rivelato l'audizione dal titolo Verso una vita indipendente, organizzata dal Comitato economico e sociale europeo (CESE).

Presieduta da Pietro Barbieri, presidente del gruppo di studio tematico del CESE Diritti delle persone con disabilità, e moderata dai membri del gruppo Marie Zvolská e Hana Popelková, l'audizione, che si è tenuta il 16 settembre, ha riunito rappresentanti della Commissione europea e della presidenza slovena dell'UE, parlamentari europei e diverse organizzazioni di persone con disabilità.

Oggi, in Europa, sono più di un milione i bambini e gli adulti sotto i 65 anni che vivono in strutture di assistenza residenziale, mentre il numero di persone con disabilità che hanno 65 anni o più e vivono in istituti supera i due milioni, ha riferito all'audizione Inmaculada Placencia Porrero, rappresentante della Commissione.

La nuova strategia dell'UE sulla disabilità presta davvero molta attenzione alla transizione delle persone con disabilità verso la vita in comunità, ma se non si prepara la comunità e non si mettono a disposizione servizi accessibili, compreso l'alloggio, questa transizione non potrà avere luogo, ha osservato, aggiungendo che la Commissione fornirà orientamenti agli Stati membri su come migliorare la vita indipendente.

Garantire alle persone con disabilità una vita dignitosa nella comunità, che consenta loro di prosperare nel loro ambiente locale e familiare e di evitare l'emarginazione e la segregazione sociale, impone di agire tanto al livello politico più alto quanto a livello locale. A tal fine occorre finanziare le politiche e i servizi, nonché prevedere una formazione e campagne educative volte a eliminare la stigmatizzazione associata alla disabilità, oltre ad offrire un ampio sostegno alle famiglie.

Va messa in atto una combinazione ibrida intelligente di assistenza familiare e sostegno locale e professionale. Le autorità pubbliche dovrebbero garantire che tale sistema sia disponibile ed economicamente accessibile, ha dichiarato Luc Zederloo dell'Associazione europea dei fornitori di servizi per le persone con disabilità (EASPD).

Ciò richiede di includere i servizi a livello di comunità nel sistema generale e di formare il personale per sensibilizzarlo alle esigenze specifiche delle persone con disabilità.

È inoltre importante combattere i pregiudizi e la stigmatizzazione, da cui nasce la percezione delle persone con disabilità come incapaci di vivere in modo indipendente.

Qualunque sistema sceglieremo di adottare, esso dovrebbe basarsi sui diritti dell'individuo e della famiglia. Non dobbiamo 'riparare' queste persone, bensì aiutarle a vivere la vita che vogliono, ha sottolineato Zederloo.

Bisogna iniziare a considerare le persone partendo dal presupposto per cui ognuno ha un contributo da dare e dovrebbe poter scegliere di vivere in modo indipendente e di prendere decisioni sulla propria vita, ha dichiarato Ines Bulic, della Rete europea per la vita indipendente (ENIL).

Occorre inoltre garantire che le persone con disabilità non siano semplicemente trasferite in istituzioni più piccole in cui continuano a non aver alcuna capacità di decidere come vivere e con chi. Non dovrebbero essere consentite neppure le altre forme di segregazione, come i laboratori protetti o il lavoro senza diritti o retribuzione.

L'ENIL ha lanciato un invito ad agire per assicurare il diritto alla vita familiare a tutti i minori con disabilità. A tal fine le famiglie devono essere sostenute fin dall'inizio in tutti i modi possibili: bisogna pertanto investire in interventi di sostegno già nella primissima infanzia. Per questo è necessario garantire una valutazione precoce e interdisciplinare delle condizioni dei bambini e delle esigenze delle famiglie, anche per quanto riguarda i fratelli e le sorelle. Tale sostegno all'intera famiglia è fondamentale se si vuole evitare la separazione delle famiglie e garantire che i bambini crescano nelle migliori condizioni possibili.

 

LA DURA REALTÀ DELLE PERSONE CON DISABILITÀ E DEI FAMILIARI CHE LE ASSISTONO

La situazione sul campo è tutt'altro che ideale. Con l'assistenza istituzionale ancora predominante in Europa e in assenza di servizi adeguati, di un sostegno finanziario o della prestazione di un'assistenza personale per il familiare con disabilità, collocare queste persone in un istituto può apparire come l'unica alternativa per molte famiglie. A causa della povertà e della stigmatizzazione associata alla disabilità, il numero di bambini collocati in strutture residenziali è ancora in aumento. 

Petr Laník, un giovane con disabilità proveniente dalla Cechia, ha riferito all'audizione di aver trascorso 27 anni in un istituto prima di trasferirsi in un alloggio protetto dove ha imparato come vivere in modo più autonomo e ha avuto l'opportunità di condurre una vita più indipendente.

Nel mio istituto il regime era rigoroso e avevo pochissimi contatti con la mia famiglia. Era triste stare lì senza mia madre, costretta a mettermi in istituto perché non aveva altre opzioni, ha ricordato Laník.

Le famiglie che scelgono di non collocare il figlio o il parente con disabilità in un istituto assumono il ruolo di prestatori di assistenza familiare, e ciò riguarda soprattutto le donne. Il prezzo che queste persone pagano è enorme: costrette a lasciare il lavoro, rischiano di ritrovarsi sulla soglia della povertà. Il mancato riconoscimento sociale del loro ruolo e il senso di isolamento e abbandono possono portare all'esclusione sociale o compromettere gravemente la loro salute.

Un recente studio riguardante il Regno Unito, presentato all'audizione da Haydn Hammersley del Forum europeo sulla disabilità, ha rilevato che il tasso di povertà passa dall'8 % della popolazione in generale al 28 % delle famiglie in cui vi è una persona con disabilità. Questo tasso aumenta ulteriormente per le famiglie in cui vi è un bambino con disabilità, il 35 % delle quali vive al di sotto della soglia di povertà. Tra le famiglie monoparentali in cui un membro della famiglia ha una disabilità, il 43 % vive in condizioni di povertà.

Tante famiglie hanno perso ogni speranza. Soffriamo di depressione, attacchi di panico, patologie cardiache e malattie neurologiche. In sostanza, viviamo un dramma emotivo. Questo perturba i nostri nuclei familiari e ha un impatto sullo sviluppo psicologico dei nostri figli con disabilità, ha dichiarato Elena Improta, prestatrice di assistenza e direttrice dell'associazione italiana Oltre lo sguardo.

Secondo Camille Roux di Coface Families Europa, è tempo di riconoscere il lavoro fondamentale e il valore dei familiari che prestano assistenza e di tenere conto delle loro esigenze, se vogliamo garantire la transizione verso una vita indipendente per le persone con disabilità.

Occorre agire con urgenza a livello politico. Dobbiamo fare in modo che la transizione vada a sostegno dei familiari che prestano assistenza e non avvenga a loro spese. In altre parole, bisogna smettere di sostituire con la solidarietà familiare l'obbligo dello Stato di mantenere le promesse della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ha concluso.