Siamo pronti per i prossimi 60 anni. E questa non è una minaccia, è una promessa.

Brussels , 22/05/2018
EESC plenary session Day 2
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Credit : Frederic Sierakowski / Isopix

Discorso commemorativo in occasione del 60° anniversario del Comitato economico e sociale europeo [Check against delivery]

Gentili ospiti,

Signore e Signori,

Care amiche e amici,

vi ringrazio di essere qui con noi oggi per celebrare il 60º anniversario di questa "casa della società civile" che ho l'onore di presiedere.

Sessant'anni fa, alla nostra sessione inaugurale, il primo Presidente della Commissione Walter Hallstein dichiarò: "il CES è più di un semplice gruppo di esperti (...): attraverso il Comitato economico e sociale la Commissione (...) potrà conoscere il punto di vista dei dirigenti delle fabbriche, degli agricoltori, dei lavoratori e dei professionisti (...); voi siete i portavoce dell'opinione pubblica europea sui temi dell'economia. Condividerete con la Commissione le esperienze, i pareri tecnici e le preoccupazioni dei cittadini dei sei paesi del Mercato comune".

Oggi il Comitato economico e sociale europeo rappresenta l'"Europa al lavoro", in tutti i settori della vita economica, sociale e civile. Fin dall'inizio al Comitato è stata conferita una fisionomia parlamentare, strutturata per gruppi professionali e non per nazionalità, realizzando così la volontà del Congresso dell'Aia del 1948 di creare un organo consultivo, composto di datori di lavoro, lavoratori e rappresentanti degli interessi generali, con il compito di sostenere gli organi dello Stato nello sviluppo del progetto europeo.

Gli anniversari sono un'occasione per celebrare, per condividere e gioire.

Un momento di pausa, per guardarsi indietro e fare un bilancio dei risultati raggiunti che guideranno il nostro futuro. Il CESE ha molto di cui essere orgoglioso.

Poco più di un anno dopo la firma del Trattato di Roma, il 19 maggio 1958, il primo CES si è riunito in sessione plenaria nell'emiciclo del Senato belga.

Se quel giorno fossimo stati a Bruxelles, avremmo incontrato i visitatori che si recavano all'Expo di Bruxelles: la prima esposizione internazionale importante dopo la seconda guerra mondiale. Regnava un'enorme fiducia nel progresso, sia umano che scientifico, incarnata perfettamente in quella stupefacente struttura architettonica che è l'Atomium. Qualche anno prima era stato creato il CERN, l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare. Era stato lanciato il primo satellite terrestre Sputnik. La scienza racchiudeva il potenziale per un presente e futuro migliori, che l'umanità avrebbe potuto plasmare. Il processo di decolonizzazione di molte nazioni africane aveva avuto inizio, suscitando una speranza di autonomia per molti paesi e inaugurando una nuova era di partenariato tra l'Europa e l'Africa.

È con questo spirito che è stato fondato il 'CES', sotto la guida di una generazione che aveva vissuto gli orrori della guerra e aveva visto in che modo i governi fascisti avevano messo a tacere le voci indipendenti della società civile.

Persone che avevano conosciuto gli aspetti più oscuri della natura umana e che, proprio per tale ragione, ritenevano che la società civile dovesse costituire un quarto potere, accanto alle istituzioni esistenti. Essi hanno osato immaginare un presente e futuro positivi.

Come diceva Seneca: "Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili."

Il CESE incarna lo spirito più genuino delle nostre democrazie europee. È una forza di intermediazione, che riporta l'Europa nei contesti nazionali e locali e che rappresenta le loro esigenze e aspettative.

È una sede di dibattito, consultazione e compromesso. I membri non sono retribuiti per il lavoro che svolgono per il CESE: il loro è un impegno volontario che si aggiunge ai loro doveri di agricoltori, sindacalisti, rappresentanti di imprese, leader di organizzazioni della società civile e molto altro ancora. Con più di 2 000 riunioni l'anno, molte delle quali negli Stati membri o al di fuori dell'UE, e con una media di 200 pareri l'anno, contribuiamo al rafforzamento della legittimità democratica dell'UE.

L'ampliamento del potere consultivo del CESE è avvenuto mediante:

  • il diritto di iniziativa introdotto dal vertice di Parigi del 1972;
  • la notevole autonomia prevista dal Trattato di Maastricht;
  • il crescente elenco dei temi sui quali siamo consultati;
  • le sempre più frequenti richieste di pareri esplorativi "a monte" dei processi legislativi;
  • e, infine, il riconoscimento ufficiale di rappresentante privilegiato della società civile organizzata, accordato al CESE nel processo del Trattato costituzionale europeo.

Tuttavia, pur consapevoli di questo ruolo fondamentale, spesso siamo troppo concentrati sui nostri "affari correnti" per percepire la portata dei risultati raggiunti.

Hannah Arendt, il cui libro 'La condizione umana' è stato pubblicato anch'esso nel 1958, ha scritto: "quello che propongo, perciò, è molto semplice: niente di più che pensare a ciò che facciamo." 

Vorrei, allora, ricordare solo alcuni esempi straordinari di attività del CESE.

Il CESE è all'origine della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, che è poi divenuta parte della legislazione europea. E lo scorso anno siamo stati, insieme con i CES nazionali, un partner di primo piano nel dibattito tenutosi in tutti i 28 Stati membri sul pilastro europeo dei diritti sociali.

Il nostro lavoro a lungo termine nel campo della migrazione e dei rifugiati ha portato all'istituzione, nel 2009, del Forum sull'integrazione, oggi Forum europeo sulla migrazione, una delle piattaforme più apprezzate di dialogo permanente tra la società civile e le istituzioni.

Il dialogo ACP-UE del CESE con attori non statali, conformemente al mandato dell'accordo di Cotonou, è stata un'iniziativa faro per il lungo termine.

Abbiamo anche accompagnato con successo il processo di allargamento, tenendo dialoghi preparatori strutturati con le rappresentanze della società civile dei paesi candidati. Oggi facciamo lo stesso nei Balcani occidentali.

Siamo stati i principali soggetti che, con successo, hanno lanciato l'invito ad integrare elementi di sostenibilità negli accordi commerciali e a dare un ruolo alla società civile nel processo di monitoraggio. Ora partecipiamo a diversi organi consultivi nazionali.

Abbiamo fatto da apripista su temi quali l'imposta sulle transazioni finanziarie, l'economia sociale e le imprese sociali, gli sprechi alimentari, l'obsolescenza programmata, la trasformazione industriale e l'intelligenza artificiale, i nuovi modelli di economia circolare, funzionale e cooperativa: in quest'ultimo ambito il nostro impegno ha condotto alla recente creazione della Piattaforma europea delle parti interessate per l'economia circolare, uno strumento unico per il dialogo strutturato nell'UE.

E, a livello istituzionale, dovremmo ricordare una volta per tutte il successo più importante ottenuto dal CESE negli ultimi vent'anni: il pieno riconoscimento del ruolo costituzionale del dialogo civile e della democrazia partecipativa, con l'articolo 11 del Trattato, una disposizione unica al mondo, la quale è, in particolare, il risultato dell'iniziativa risoluta della Presidente Susanne Tiemann nel 1993, portata avanti dai suoi successori e principalmente da due altre presidenti, Beatrice Rangoni Machiavelli e Annemarie Sigmund. Forse non è un caso che un'innovazione così straordinaria sia dovuta a tre delle quattro presidenti donne nella storia del CESE.

Noi prendiamo sul serio il ruolo che ci è stato attribuito nell'attuazione dell'articolo 11, e ci adoperiamo costantemente per creare lo spazio per un dialogo strutturato più ampio, tramite, ad esempio

  • il gruppo di collegamento con la società civile;
  • un forte sostegno all'Iniziativa dei cittadini europei;
  • 28 dibattiti nazionali sul futuro dell'Europa riguardo ai cinque scenari proposti dal Presidente Juncker;
  • e, molto di recente, la nostra cooperazione attiva nelle "consultazioni dei cittadini" proposte dal Presidente francese Emmanuel Macron.

Signore e Signori,

i risultati che abbiamo ottenuto sono la base per il futuro di un CESE forte e, quindi, di un'Unione europea forte. Ma non possiamo permetterci di riposare tranquillamente sugli allori. Perché possiamo essere fedeli a noi stessi soltanto se facciamo del nostro meglio per compiere il dovere che abbiamo ereditato dai padri fondatori: essere la voce della società civile e assistere le istituzioni dell'UE nel loro lavoro fondamentale.

Sfruttando la forza unica di cui disponiamo attraverso i nostri collegamenti diretti con la società civile organizzata in tutta Europa, lavoreremo per un futuro sostenibile.

Le percentuali elettorali ottenute dai populisti sono in costante aumento in tutta Europa. Vi sono cittadini, tra cui anche molti giovani, ai quali il futuro non offre alcuna speranza e che lottano contro la disoccupazione o devono subire condizioni insostenibili di vita e di lavoro.

Vi sono paesi in Europa e nel nostro vicinato che si trovano oggi sull'orlo della guerra. Dobbiamo dimostrare che non abbiamo dimenticato gli insegnamenti del passato. Non dovremmo dare per scontate la pace e la tolleranza.

Vi sono paesi che violano i diritti della società civile di riunirsi e di organizzarsi sul piano politico. Difendiamo lo spazio civico!

Dobbiamo, pertanto, intensificare i nostri sforzi per salvaguardare e garantire le nostre conquiste più importanti sul piano dei diritti, dei valori, delle libertà, della democrazia e dello Stato di diritto. Dobbiamo saper resistere alla terribile tentazione incarnata dai "sovranisti", che offrono risposte inadeguate e pericolose alle domande fondamentali poste dai cittadini, dai lavoratori, dalle imprese e dalle comunità dei nostri paesi.

Per non parlare delle sfide poste dalle trasformazioni ambientali e tecnologiche, che non possono essere affrontate se non lavoriamo uniti, tutti insieme.

Il nostro intervento deve essere decisivo e lungimirante. Prendiamo ispirazione dallo spirito del '58 e diamo vita ad una nuova narrazione di speranza. Promuoviamo insieme un secondo Rinascimento europeo, in cui, ancora una volta, potremo sentirci protagonisti del nostro presente e del nostro futuro.

Abbiamo sempre sottolineato che la dichiarazione di Roma del marzo 2017 è stata, e continua a essere, la tabella di marcia adeguata per conseguire i risultati necessari verso la fine del presente mandato.

Vorrei porre in evidenza sette punti fondamentali, che sono già priorità consolidate del nostro Comitato economico e sociale per gli anni a venire.

1) Dobbiamo rafforzare un'Unione di valori: la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti fondamentali, la dignità umana e la libertà non sono negoziabili. In questo momento storico in cui vengono messi in discussione i nostri valori fondanti, dobbiamo essere pronti, insieme, a salvaguardare le nostre società aperte che definiscono chi siamo oggi e chi vogliamo essere domani.

2) Continueremo a sostenere l'attuazione dell'agenda per lo sviluppo sostenibile a livello europeo e oltre, passando a una società sostenibile in termini economici, sociali e ambientali. Il CESE ha formulato numerosi pareri innovativi in questo settore. Adoperiamoci perché vengano attuati. L'Europa deve essere sostenibile o non sarà. L'Agenda 2030 è una strategia globale. Si tratta di un progetto politico reale per i cittadini europei.

3) Un'Unione europea interconnessa esige un maggiore coordinamento della politica economica. Facciamo in modo che il semestre europeo sia all'altezza del suo potenziale, e proponga finanze pubbliche sane, come pure riforme strutturali per la crescita, l'occupazione e gli investimenti. Solo in uno spazio economico forte si possono porre le basi per la sostenibilità sociale, ambientale e culturale.

4) Assumeremo una posizione molto proattiva sulle sfide e le potenzialità dell'intelligenza artificiale, che deve essere al servizio dell'umanità anziché perpetuare le propensioni specifiche delle menti umane che l'hanno sviluppata. Deve essere uno strumento per dare forma al nostro futuro, piuttosto che un giogo impostoci per controllarci.

5) Siamo al centro dei dibattiti sulla proposta di quadro finanziario pluriennale presentata dalla Commissione. Si tratta di un quadro per il futuro delle nostre società sostenibili per i 500 milioni di cittadini europei e deve cogliere l'ambizione e l'impegno dell'Unione europea in vista delle elezioni europee del maggio 2019. Dobbiamo lavorare per una visione più forte della solidarietà e della coesione, e per un bilancio più audace.

6) Per adattarci a una realtà che cambia, dobbiamo produrre una nuova narrazione europea attraverso la cultura e l'istruzione, promuovendo la creazione artistica, la mobilità e lo scambio interculturale, e rafforzando il senso di appartenenza e di scopo. Dobbiamo fornire a tutti i cittadini una comprensione del nostro patrimonio, in modo da avere gli strumenti per guardare in modo costruttivo e senza timore in una direzione condivisa.

7) Da ultimo, ma non meno importante, occorre resistere alla tendenza all'autoreferenzialità e plasmare attivamente le nostre relazioni con il mondo che ci circonda e che è in costante evoluzione, nel vicinato europeo e oltre.

Dobbiamo dare sostegno alle forze che operano per la pace nei Balcani occidentali. Dobbiamo lanciare delle iniziative nei paesi vicini del Mediterraneo e in Medio Oriente per consolidare la democrazia, rilanciare e stabilizzare i processi di pace e sostenere la società civile nei paesi che hanno difficoltà a gestire i flussi migratori. Al tempo stesso, dobbiamo difendere e promuovere l'acquis dell'UE in materia di accordi commerciali.

E, per fare tutto questo, abbiamo bisogno della voce dei nostri giovani.

Abbiamo bisogno del loro aiuto per superare un certo irrigidimento del pensiero. Abbiamo bisogno del loro sostegno per ribellarci al conformismo interiorizzato che fa sì che, malgrado tutti i nostri sforzi, riproduciamo sempre gli stessi risultati. L'Unione europea ha bisogno di una ribellione giovane, creativa e costruttiva.

Il prossimo anno sarà cruciale.

Il periodo elettorale non deve impedirci di sottolineare la necessità di far avanzare dei dossier fondamentali, come quelli che ho indicato in precedenza.

Dobbiamo rafforzare il dibattito sul futuro dell'Europa in ogni modo possibile nei nostri paesi e collegi elettorali, incoraggiando un voto informato e un alto tasso di affluenza alle urne.

"L'Europa al lavoro" è la leva, il catalizzatore e il motore di questa rEUnaissance.

Tramite il nostro Comitato potremmo forse, a titolo di esempio, fornire un quadro per il dialogo della società civile con i capilista.

Il nostro dialogo con la società civile costituirà certamente un elemento decisivo per il successo del vertice di Sibiu sul futuro dell'Europa il 9 maggio 2019.

Purtroppo, al vertice saranno presenti soltanto 27 capi di Stato: una riunione alla quale non parteciperà la nazione europea della Gran Bretagna. Dobbiamo garantire che i collegamenti a livello di società civile restino forti, per dare vita ad iniziative comuni e sostenere i cittadini in questo processo di divorzio nonché consentire un futuro comune.

Di certo, non è un momento per l'"ordinaria amministrazione".

Mai prima d'ora, dagli anni '30 del secolo scorso, l'incendio cupo del populismo è divampato in modo così minaccioso.

Come ha giustamente osservato Federica Mogherini in occasione dello Stato dell'Unione a Firenze: "Sembra che urlare, gridare, insultare e prevaricare, distruggere sistematicamente e smantellare tutto quello che esiste già sia la cifra del nostro tempo. Mentre il segreto del cambiamento - e abbiamo bisogno di cambiamento - è convogliare tutte le energie non nella distruzione del vecchio, ma nella costruzione del nuovo. L'attuale impulso a distruggere non ci porterà niente di buono, non risolverà nessuno dei nostri problemi".

Noi sappiamo, e voi sapete, che queste parole suonano drammaticamente vere, a qualsiasi livello.

Non sono così ingenuo da credere che noi, all'interno del CESE, siamo esenti da tale energia distruttiva. A volte, questo stato d'animo devastante, caratteristico del nostro tempo, affiora anche nei nostri dibattiti e nelle nostre dinamiche. Ma, grazie alla nostra appartenenza alle concrete sfide quotidiane della vita economica e sociale dei nostri paesi, siamo in grado di lavorare insieme a soluzioni comuni. A sessant'anni dalla nascita della nostra istituzione il nostro impegno è ancora quello di realizzare la sua missione fondamentale: essere uno spazio in cui il dialogo civile è un modo per creare il nostro futuro.

Il CESE ha 60 anni. Forse dimostra la sua età in un certo numero di procedure interne che dobbiamo ammodernare per rispondere alla rapidità dei cambiamenti cui siamo confrontati. Stiamo anche assistendo ad una proliferazione esorbitante delle consultazioni online. Il miraggio della cosiddetta democrazia partecipativa digitale è sempre più popolare presso numerosi responsabili politici, che sembrano seguire ciecamente la convinzione erronea per cui cliccare e dire "mi piace", servirsi di questionari online, partecipare alle chat e passare al digitale in tutti i settori costituiscono una forma di democrazia futura postmoderna.

Noi restiamo convinti che un vero dialogo civile necessiti di questa Casa della società civile, lo spazio strutturato del Comitato economico e sociale europeo. Una struttura che certamente fa leva anche sulle nuove tecnologie, ma in cui l'ascolto e il dibattito, e la ricerca paziente di pareri convergenti, restano il modo costruttivo per far sì che la nostra democrazia possa prosperare. Semplicemente perché questo ci permette, nel modo migliore, di comprendere, scambiare e scoprire idee innovative.

Pertanto, la storia della nostra Casa della società civile europea è ancora una storia bellissima tutta da scrivere.

Partecipiamo, spesso in un modo nuovo e lungimirante, alla costruzione, difficile ma appassionata, di questo potere democratico del dialogo civile. Siamo la dimensione istituzionale di questo dialogo, che a sua volta diventa fonte di produzione e azione normativa.

Siamo qui per osare il futuro dell'Europa.

Perché, come ha scritto Søren Kierkegaard, "osare è perdere momentaneamente l'equilibrio. Non osare è perdere se stessi."

Siamo pronti per i prossimi 60 anni.

Non è una minaccia.

È una promessa.

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